Gli ultimi due anni sono stati importanti per la Croce Rossa Italiana, impegnata con i suoi volontari in prima linea durante l’emergenza sanitaria.
Anche il Comitato di Gorizia si è da subito messo in movimento per cercare di essere quanto più vicino possibile ad una cittadinanza in vera difficoltà: dal 15 marzo 2020 al 31 gennaio 2022 ha svolto quasi 24.500 ore di servizio, con 300 interventi per farmaci a domicilio e circa 500 spese a domicilio. Tutti i vari servizi, piccoli e grandi, hanno fatto percorrere ai volontari più di 35.000 kilometri.
Assieme ad Ariella Testa, presidente del Comitato di Gorizia della CRI, abbiamo tracciato un bilancio, non mancando di guardare anche a quelli che, in questo momento, sono i bisogni più emergenti per la nostra città.
Presidente, ci stiamo forse avvicinando ad una via d’uscita dopo due anni tremendi. Per voi, per la vostra organizzazione, cos’hanno significato, con cosa vi siete “scontrati”?
Sono stati due anni molto intensi; lo è stato in particolare l’inizio della pandemia, quando le persone stavano chiuse in casa, non avevano né la possibilità ma soprattutto la voglia di uscire se non per andare ad acquistare le cose più strettamente necessarie. In quel momento ci siamo trovati davvero in prima linea assieme ad Associazione nazionale Alpini, Protezione Civile e i volontari della Misericordia, distribuendo mascherine e tutto quello che poteva servire. Avendo poi a disposizione una sala operativa aperta 24 ore su 24,abbiamo fatto fronte a quelle che erano le richieste di spese a casa, medicinali, accompagnamento per quelle poche visite o terapie rimaste operative negli ospedali. Anche grazie al supporto dei Volontari Temporanei – categoria aperta proprio da Croce Rossa Italiana per poter permettere a tante persone volonterose di dare una mano – abbiamo potuto dare un forte aiuto sul territorio. Di questi volontari in città ne abbiamo avuti circa una ventina: non hanno dovuto effettuare il solito percorso per diventare volontari ma una formazione molto più condensata. In quei giorni ci siamo trovati di fronte ad una realtà sconosciuta, abbiamo portato alla luce – e riportato ai Servizi Sociali con i quali collaboriamo costantemente – delle incredibili situazioni di solitudine, degrado, incapacità di comunicare con l’esterno o non sapere come chiedere aiuto. Pur essendo consapevoli che il tessuto cittadino è molto anziano, abbiamo scoperto una Gorizia “sommersa”. Con il tempo l’emergenza è andata gradualmente diminuendo e sono rimasti gli assistiti “storici”, quelli che si sono in qualche modo affezionati a noi: perché non hanno parenti vicino, perché sanno di poter trovare un punto di riferimento, perché ormai ci conoscono e hanno instaurato con noi un rapporto di conoscenza e fiducia. Trovano in noi un po’ quelli che un tempo erano i rapporti di buon vicinato, che oggi purtroppo spesso e volentieri non ci sono perché siamo diventati una società molto individualista – anche se comprendiamo il perché: mettere a rischio la propria vita o quantomeno la salute, il doversi fermare in quarantena, trovarsi conseguentemente in difficoltà famigliare, lavorativa… hanno condizionato le nostre vite, sono problemi reali, non è soltanto la paura di qualcosa di sconosciuto -.
In maniera diretta dal vostro gruppo di volontari come sono stati vissuti questi problematici momenti?
Abbiamo sopperito effettivamente a tantissime richieste, svolgendo una quantità di ore di servizio incredibile. È stato un lavoro stancante, eravamo in sede ogni giorno compresi Natale, Capodanno, Pasqua… alternandoci, ognuno con i propri servizi e le proprie capacità, oltre poi a dover provvedere all’igienizzazione dei mezzi, degli ambienti, al cambio delle mascherine, dei guanti, il lavaggio delle divise… C’è stata veramente la difficoltà di far fronte ad un’emergenza che prima di tutto nessuno si aspettava – nessuno si era mai preparato ad una cosa simile – ma soprattutto con un numero di volontari pieni di voglia di aiutare, che però spesso dovevamo frenare per non metterli in pericolo: prima va messo in sicurezza il volontario, altrimenti non può comunque aiutare gli altri.
Ripensando allo scoppio della pandemia, come vi ha colto la chiusura del Paese praticamente improvvisa?
La pandemia ci ha colto di sorpresa per la modalità e la qualità dell’emergenza: siamo preparati, facciamo corsi specifici, siamo una “costola” della Protezione Civile in caso di emergenza, eventualità nella quale siamo anche seduti nella Sala Operativa comunale; ma di fronte a una simile situazione la preparazione all’emergenza, il non essere colti impreparati dal punto di vista “mentale”, è stato superato: è stata un’emergenza completamente diversa, che ci ha messo davvero in difficoltà. È stato un qualcosa che ci ha fatto comprendere quanti tipi di emergenza ci possano essere.
In quel periodo abbiamo aperto uno sportello telefonico di aiuto psicologico e abbiamo visto come l’emergenza materiale ci sia stata e ci sia, ma quella psicologica altrettanto: persone che sono state chiuse in casa, bombardate di notizie, sole, che perdono i contatti anche con quei riferimenti che di solito c’erano sempre, come appunto i medici di famiglia… abbiamo effettuato moltissime telefonate, proprio per ascoltarle e farle sfogare.
Il vostro supporto si basa sull’apporto fondamentale dei volontari. Pensando però in un’ottica rivolta al futuro, è necessario anche guardare ad un ricambio generazionale. Com’è la situazione all’interno della vostra organizzazione? I giovani sono “attratti” ancora dal mondo del volontariato?
Il volontariato è importantissimo, fondamentale, in una società: se un giorno il mondo del volontariato si mettesse in sciopero… si capirebbe veramente il suo “peso”. Ultimamente ai nostri corsi base abbiamo
un bell’afflusso di giovani, alcuni dei quali poi decidono di proseguire rimanendo come volontari.
Per quanto riguarda direttamente la Croce Rossa, svolgendo molta attività nelle scuole abbiamo facilità nell’incontrare i ragazzi. Tuttavia i giovani sono anche quelli che arrivano con più entusiasmo ma
spesso, per logica della vita, o per studio, o per lavoro, o perché non hanno trovato quella forma di soddisfazione anche personale che ricercano nel volontariato, poi si allontanano. Onestamente il “nocciolo duro” dell’Associazione – e del volontariato in generale – sono gli anziani; i giovani sono una forza, noi ne contiamo circa 25, portano belle idee, novità, si occupano delle parti “tecnologiche” e più legate all’uso dei media, della grafica, si occupano di formazione e quando vanno nelle scuole hanno un ottimo rapporto con i ragazzi.
Quello che recentemente abbiamo notato è che i nostri giovani- probabilmente dovuto anche alla mancanza di socializzazione degli ultimi tempi – si trovano un po’ “spaesati”, impacciati quando si tratta di attività esterne che prevedono l’avvicinarsi e rapportarsi con le persone. Una cosa che manca moltissimo e non è facile da fare è la comunicazione, non quella “schermata” dai social, quella fatta “faccia a faccia”.
Accennava alle scuole, che progetti presentate loro?
C’è il progetto, negli istituti superiori, della “Gara DIU – Diritto Internazionale Umanitario”, nato proprio dal Comitato di Gorizia circa 10 anni fa e che oggi è diventato una gara nazionale, coinvolgendo scuole da tutte le regioni d’Italia. Per quest’edizione contiamo già iscrizioni da 18 regioni, che sceglieranno una classe rappresentante per ognuna di esse, per contendersi poi la finale in maggio a Roma. Questo permette annualmente di incontrare numerose classi degli istituti superiori, un “entrare” nelle scuole che poi ci porta a volte ad effettuare corsi di manovre salvavita, di uso del defibirillatore, corsi sulle malattie sessualmente trasmissibili, sul dono del sangue… Collaboriamo poi con “Librilliamo” e, durante il lockdown, anche alcuni dei nostri volontari hanno proposto delle letture per i più piccoli in formato video.
Alla luce di quanto avvenuto negli ultimi due anni, dal vostro particolare punto di vista sulla città, cosa manca ora a Gorizia?
Guardando direttamente al mondo del volontariato, a Gorizia ci sono molte realtà associative: le iniziative ci sono, ma sono spesso a “spot”. A mio avviso dovremmo cercare di capire quello che effettivamente la città richiede, al di là di quella che è la nostra necessità come associazione di farci conoscere. Chiaro che inventarsi cose nuove non è facile; dobbiamo domandarci “cosa offriamo alle persone?” e uscire sul territorio, andare incontro a queste persone.
È difficile operare per il terzo settore, bisogna “spendersi” e questo è un messaggio che va veicolato soprattutto nelle scuole, è lì che si può “seminare”. Il volontariato è una “sinergia tra il dare e l’avere”. Guardando poi alla società, la priorità è sicuramente i giovani: essi sono non il futuro ma il presente, sono già qui. Vedo poi che ci sono molte famiglie straniere, soprattutto dal nord africa, dove le mamme
non sanno l’italiano anche se sono residenti in città da anni. Di conseguenza, spesso i bambini sono seguiti male nel percorso scolastico – alcuni sono molto bravi e ce la fanno da soli, altri rimangono indietro -.Questi bambini devono essere accolti nella nostra società, non possiamo dimenticare che gli stranieri sono una parte che sarà sempre più importante nel nostro Paese e nella nostra città, che conta molti anziani, in particolare. Manca un po’ la coscienza di ciò che è la realtà ora, favorendo momenti che aiutino gli stranieri ad aprirsi e la città stessa ad aprirsi a sua volta.
Ciò che manca in città è la solidarietà tra le persone, che permette di migliorare lo stato di vita di tutti, specialmente dei più fragili come gli anziani, spesso soli.
C’è, a mio avviso, la necessità di un lavoro morale da fare sulle nuove generazioni: se la scuola e le famiglie non capiscono questa necessità, lavoriamo nel nulla. Attenzione quindi ai giovani, ma non con progetti spot, bensì con progetti duraturi, sul lungo periodo, idem per gli anziani.
Gli amministratori devono poi andare di più sul territorio, guardare le persone in faccia, prendendo anche le critiche, se necessario; non ci si può limitare alle società terze che creano sondaggi e studi di settore per rilevare tot poveri, tot anziani, tot giovani, tot disabili e via dicendo: si deve andare di persona dalla propria cittadinanza.
Stessa cosa vale anche per le associazioni: non si può lavorare solo nel proprio, aspettando che siano gli altri a venirti a cercare ma devi “darti”, essere disponibile proattivo.
Gorizia corre a grandi passi verso il 2025, che ci vedrà protagonista accanto a Nova Gorica come Capitale della Cultura europea. In questo contesto, come sono i rapporti con la vostra omologa d’oltreconfine?
Nel recente passato, in sede del Gect, ci sono state più occasioni di incontro e di dialogo con la Croce Rossa di Nova Gorica ma una vera e propria collaborazione non è ancora stata messa in atto. Proprio in questo periodo, grazie alla collaborazione di alcune volontarie appartenenti alla minoranza slovena, stiamo riprendendo i rapporti in virtù del creare sinergie transfrontalieri e internazionali. Uno dei nostri impegni e progetti per il futuro è proprio quello di riprendere le fila e collaborare, anche in vista di questo “traguardo” che ci interessa ed è molto importante, poiché darà alle due città una visibilità non da poco; dobbiamo sfruttarlo al meglio, non lasciarlo sfuggire
Articolo di Selina Trevisan pubblicato su Voce Isontina il 19/02/2022